Recensione "Come Le Barche Stanche Della Calma"
“Come le barche stanche della calma”
Raccolta di poesie dell’artista Carla Cerbaso
Quando nel complesso universo della poetessa Carla Cerbaso il lume della speranza sembra essere giunto al suo naturale spegnimento, ecco sopraggiungere come d’incanto, la luce emanata dalle sue parole, frutto di un articolato e criptico mondo interiore.
Mediante la silloge poetica “Come le barche stanche della calma” Carla Cerbaso trova un altro spiraglio per irradiarsi al mondo. La poetessa varca la porta dei sui personali ricordi per farsi guidare dalle parole dentro un lungo tunnel emozionale nel quale riesce a trovare un’altra sua personalissima dimensione.
Il senso del tempo è vissuto dalla poetessa come una vera e propria ossessione, ella non si capacita del suo scorrere silente e veloce, quando pensa al suo avanzare imperterrito e inesorabile. Un tempo che sfugge al controllo dell’uomo e lascia lesioni indelebili lungo la sua scia.
Ma Carla Cerbaso non sente il tempo quando scrive (o quando crea se ci riferiamo al suo essere artista nella sua interezza poliedrica), come se per lei non esistesse, come se potesse controllarlo e dominarlo con tutta la sua forza artistica. E’ infatti in quei lunghi istanti di pace e benessere che Carla Cerbaso vince il tempo con la sua creatività, fatta non solo di parole, ma anche di colori e di materia inanimata che ella come per magia, plasma d’emozioni e sensualità.
Il raggiungimento della libertà coincide con la realizzazione dei suoi sogni che sembrano però rimanere chiusi nelle prigioni della mente, quando le sue parole trasudano un dolore silenzioso, una vena malinconica sottile, che sembra oscurare il volto della sua bellezza.
L’autunno (la morte) e la primavera (la vita) come metafore dell’esistenza umana sono radicate in lei e la ispirano. Le sue parole, i suoi colori, i materiali che lavora e assembla permeano la morte che brucia il tutto per poi elaborare la vita che rinasce nel tutto.
Ella si lascia accarezzare dal vento, possedere dai riflessi del sole, mentre la pioggia lava via le amarezze ed i tormenti sulla sua pelle. Lo smarrimento dell’io in Carla Cerbaso coincide con le sue paure, le sue angosce, l’ansia di sentire il niente, per questo ella s’affretta a vivere il tutto, cercando di essere il tutto.
Ma la poetessa è anche corpo che vibra di passione e sentimento allora che cosa è la vita si chiede Carla Cerbaso, senza valori come il sogno e l’amore? E così s’interroga sul senso dell’esistenza e della morte, sulla genealogia del male e del suo mistero che trascende ogni cosa, visibile e invisibile.
Per la poetessa noi non siamo realmente quello che gli altri percepiscono, ma allora cosa siamo noi per gli altri? Siamo solo una serie di proiezioni, di profili immaginari, di sensazioni non rispondenti al reale (vedi il “centomila” pirandelliano).
Quanti inverni sono passati, constata Carla Cerbaso e quanti sogni li hanno fatti fremere al calor dell’emozioni. Ed ecco che i sogni si fondono con i colori della sua anima e questa commistione rende i sogni realtà da percepire e vivere sino all’ultimo istante.
La notte offre alla poetessa una possibilità, una via di fuga, un riscatto, una percezione differente del suo reale, quando ella ascolta il fruscio del vento, muta e impassibile, lasciandosi andare e facendosi cullare dai suoi desideri più reconditi.
La mente della poetessa viaggia fra la polvere dei ricordi, tornando spesso al padre e alla sua forte presenza: fortezza inespugnabile della sua infanzia. Le parole che Carla Cerbaso dedica all’amato genitore sono come un abbraccio mai dato: sognate, asciutte, intense e indissolubili.
La fantasia della poetessa proietta nel suo immaginario una donna misteriosa che riposa sul letto del suo subconscio e a volte si sveglia per vagare lungo le strade tortuose della mente in cerca di se stessa, del suo senso etereo e sublime.
L’uomo è mistero incomprensibile e ingovernabile, la vita è casualità, è volere del destino. Riflessioni che conducono la poetessa alla tragedia di Rigopiano, emblematica e triste rappresentazione del potere della fatalità.
“Bisogna avere una resistenza fuori dal comune per vivere la solitudine” diceva Pasolini. Ma nella realtà per Carla Cerbaso siamo sempre soli, anche quando siamo accompagnati, nella gioia e nel dolore, di fronte alle scelte e soprattutto alla caducità della vita.
Un lampo di pessimismo rende amaro il cammino, quando il suo pensiero sensibile va alle delusioni della vita. Allora Carla Cerbaso s’infila nella sua macchina del tempo per ritornare alla sua fanciullezza, conducendo con la sua immaginazione, la bambina che è ancora viva in lei, sui prati fioriti della campagna molisana, alla ricerca di farfalle (metafora di una libertà più volte agognata nel testo).
“Si accendono le stelle…a confortare le grandi amarezze” scrive la poetessa. Ella cerca e intravede la speranza nelle luci che illuminano la notte, rimanendo impassibile di fronte al mistero che si cela in esse come il grande cantautore genovese Fabrizio De Andrè nella canzone “Ho visto Nina Volare” (…quale sarà la mano che illumina le stelle?)
“Siamo noi ora nell’eterno presente d’un attimo” scrive ancora Carla Cerbaso. Tutte le sue emozioni viaggiano dentro quell’attimo, da cogliere sempre, per riprendere il cammino e abbandonarsi agli spiragli emozionali che ci sa offrire la vita.
I pensieri della poetessa spesso si aggrovigliano, creando grumi di fantasmi silenziosi che giocano contro la sua mente e minano la vita. “La rete della ragione” nella quale Carla Cerbaso s’impiglia spesso durante il suo cammino.
I ricordi compaiono grazie ad una musica soave e le persone che hanno accompagnato la poetessa lungo il suo viaggio esistenziale, riaffiorano come per incanto in lei. Il passato ed i suoi ricordi generano un’amara malinconia spingendola verso un male oscuro, verso un disagio nei confronti della vita, che Carla Cerbaso cerca di combatte con la sua arte dal potere magico e taumaturgico, che mette in luce tutto il suo mondo nascosto e imprevedibile.
Il “senso d’oltre” anelato dalla poetessa, è la chiave per scoprire il segreto della vita e svelare finalmente il mistero che si cela nell’uomo.
La poetessa cerca la liberazione dai vincoli del passato e del presente affidandosi alle parole, un rimedio perfetto, una panacea catartica che placa gli affanni e la conduce nell’agognata atarassia: l’assenza di turbamenti dell’anima, tanto cara al filosofo e poeta latino Lucrezio.
Allora i suoi pensieri si librano in volo come uccelli liberi che si perdono “nell’azzurro del tutto” e giunta la notte, prima che i suoi occhi si chiudano, ella s’abbandona a contemplare le carezze bianche della luce.
Carla Cerbaso ha sete d’immensità e si mette alla sua ricerca, con tutta se stessa, tramite il suo mondo onirico, simbolico e immaginifico.
La poetessa si ribella alla morte delle emozioni, riuscendo sempre a ristabilire l’equilibrio, anche nei momenti bui che segnano di fatto la fine dei sogni, inaridendo la vita. Ella cerca la fine di tutti gli affanni, con il sogno della felicità perenne, che faccia tacere per sempre le grida delle incomprensioni, delle angosce e delle paure.
I versi della poetessa ardono di intense e brevi passioni, per poi tramontare con il sole e lasciarsi andare ad una vena amara di pessimismo, il suo “abisso del nulla” sembra quasi voler riportare alla mente quel “gorgo muto” pensato dal poeta piemontese Cesare Pavese nella poesia “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.” Ma i “…rami spogli e le foglie defunte” si rianimano ai respiri dei suoi genitori che tendono le mani alla figlia per condurla fuori dall’angoscia del suo vivere.
La poetessa sente il senso della storia che si ripete ogni fine anno durante il periodo di natale, anche se nulla è sempre uguale, come ella realisticamente constata.
L’arte ha il potere di condurre Carla Cerbaso nel cielo della sua leggerezza per farle prendere possesso del suo letto di nuvole. Il mistero della verità che coincide per lei con il mistero di Dio, vuole svelarsi al suo mondo, allora ella s’interroga se le sensazioni successive all’esalazione dell’ultimo respiro, possano realmente coincidere con la liberazione definitiva dagli affanni e la luce possa trionfare per sempre sulle tenebre della nostra vita mortale.
La poetessa cerca una via di fuga dalla sua tormentata quotidianità intraprendendo lunghi viaggi negli angoli sperduti della sua mente, viaggi che fanno riaffiorare in lei la sensazione delle carezze dimenticate, il sapore delle caramelle, i colori della natura, il volo delle farfalle, la luce notturna delle lucciole.
Allora la Carla Cerbaso bambina e l’artista della maturità, si fondono e si coalizzano per fermare il tempo e non sentirne più i segni. Poi sconfinano per sempre nel paradiso delle illusioni e si abbeverano all’unisono presso la fonte magica dell’eternità.
Luigi Elia
Roma, settembre 2020
Luigi Elia
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